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Mi sono sposata solo grazie a Totti

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Di Stefania Auci (racconto apparso su Abbiamo le prove)

Sono una persona romantica. Affermazione ovvia, almeno se si tiene conto che scrivo romanzi d’amore.

Bene. Sono sposata con una delle persone meno romantiche dell’universo. Un uomo che mi rivolge lo stesso sguardo truce – “Stai scherzando, vero?” – ogni qual volta gli suggerisco di fare qualcosa fuori dall’ordinario.

Per fare qualcosa di extra-ordinario mio marito deve essere davvero molto motivato, o deve verificarsi una congiunzione astrale tipo Venere, Marte, Giove, Plutone e la cintura di asteroidi disposti ad albero di Natale.

Bene. Le congiunzioni astrali esistono.

In questo caso si sono tradotte nello scudetto della Roma del 1999.

 

Sì, mio marito è un tifoso, e sì, è romanista. E, ancora sì, ha il poster di Totti nell’armadio, giusto sopra le cravatte. Tenete presente che stiamo parlando di un rigoroso, serio e compito funzionario pubblico.

Stiamo insieme da tanti anni, e, un giorno di x anni fa, gli chiesi se mai mi avrebbe regalato un anello di fidanzamento, vista la sua cronica allergia agli orpelli e a ogni ritualità o simbolo di chiara impronta matrimoniale.

Risposta: – Solo se la Roma vincerà lo scudetto.

Impresa improba, visto che quell’anno la squadra giallorossa si arrabattava in un campionato senza infamia e senza lode.

Campa cavallo.

Ma l’anno successivo, accaddero molte cose.

Primo: lui ebbe un incarico di lavoro a Bruxelles.

Secondo: andai a trovarlo.

Terzo: la Roma era in corsa per lo scudetto.

Così. Bruxelles.

Sapevo che il Belgio era la patria dei gioielli. Ad Anversa c’è la sede della De Beers, oltre che la Borsa ufficiale dei diamanti e delle pietre preziose. È un commercio antico che affonda le sue origini nel periodo della dominazione coloniale africana, e che tutt’oggi rappresenta una fonte di ricchezza enorme per il paese.

Sapevo, ma non ero preparata per ciò che mi attendeva. Vedere esposti nelle vetrine pietre preziose grandi come un uovo fa un po’ d’effetto. Anche le donne dotate di un aplomb ben più forte del mio avrebbero avuto un sussulto, un inarcarsi di sopracciglia. Figuratevi la sottoscritta che ha una predilezione per le cose che luccicano e che costano quanto un rene messo all’asta su Ebay.

Fatalmente, accadde. Dinanzi la vetrina di una gioielleria del centro di Bruxelles mi arrestai, come corpo morto cade.

Vetrina in bianco con le rifiniture in blu. Davanti, bracciali: dalle semplici maglie in oro ai tennis più raffinati. Poco oltre, pendants e ciondoli di pietre e oro bianco, orecchini in perle. Non roba pacchiana, lo si capiva dalla luce riflessa dalle pietre, che non erano schegge o gemme di seconda scelta.

E lì in mezzo la perfezione. Anello, cinque petali di brillanti, un castone delicato in oro bianco. Non vistoso, molto semplice e luminoso.

Lo indicai al mio – allora – futuro coniuge il quale si fermò a dare un’occhiata, si strinse nelle spalle, bofonchiò un “Ma sempre queste cose stai a guardare?” e tirò dritto. Lui era già proiettato verso il futuro che non ammetteva inutili soste intermedie. Dopo una settimana di lavoro, aveva un solo obiettivo: raggiungere la birreria dove avrebbero trasmesso la partita della Roma, dalle parti di Chaussee de Charleroi.

Nonostante i miei alti lai, mi trascinò in questo posto pieno di italiani, l’Esquisse. Lo ricordo bene: un bancone ovale di legno al centro della stanza, un piccolo giardino d’inverno dove già facevano capolino sedie di legno e sdraio di tela. Quadri di arte africana e televisori accesi ovunque.

Quando partì l’inno della Roma, vidi tutti scattare in piedi con le sciarpe sollevate in alto (n.d.r: le sciarpe giallorosse? Vai in Belgio e ti porti la sciarpa della Roma?) a cantare in attesa del fischio d’inizio per la Maggica.

Non chiedetemi contro chi giocasse: non lo ricordo, credo la Fiorentina. Però ricordo benissimo la gente che saltò sul bancone al gol risolutivo di Batistuta, e anche un tizio che si appese al lampadario per un paio di secondi.

La Roma era in testa alla classifica.

 

Al ritorno in Italia, lui capitola. Sì. Ok. Anello.

Facciamo un paio di giri per le vetrine e gli segnalo le mie preferenze. Non economiche, sia chiaro.

Lui non sembra recepire: mantiene la stessa espressione che ricorda molto da vicino John Wayne ai tempi d’oro.

Poi, la sera della festa al Circo massimo, si presenta con un cappello giallorosso. È radioso. A me interessa ben poco, ma tant’è. Normale amministrazione.

 

Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni è che io e lui non siamo compatibili: siamocomplementari. Io sono quasi vegetariana, lui adora pesce e carne. Lui ama i western, io lo Sci-Fi; lui De Gregori e De Andrè, io… no, lasciamo stare i gusti musicali della sottoscritta. Ho letto e so a memoria Harry Potter e lui i fratelli Karamazof. Potrei continuare per ore. Però funzioniamo a meraviglia, anche se, o forse proprio perché sappiamo che l’uno non sopporta le passioni dell’altro. O quasi. In quell’occasione non potevo lasciarlo solo a festeggiare: era felice, aveva un’aria così piena di gioia per una vittoria storica che non mi andava di lasciarlo solo. Ci sarebbe rimasto troppo male.

 

Così sono uscita. Pantaloni e maglietta da fandom, poiché io non rinuncio ai miei principi. Per strada c’è casino, macchine che sfrecciano, clacson, bandiere. Lui tira fuori dall’auto un altro cappello giallorosso, di quello da Jolly, con le campanelle in testa.

No e poi no. Non metterò quell’orrore.

Eppure mi convince, e un bene. Forse la cosa migliore che potessi fare. Perché quando calco il cappello sulla testa, un… qualcosa mi colpisce la fronte.

Pacchetto blu, nastro di raso. Incarto con scritta dorata in francese. Tollet, il nome della catena di gioiellerie. Indirizzo di Bruxelles.

Oh.

Ammetto che è difficile ridurmi al silenzio. Mio marito è una delle poche persone che riesce a farlo, e sempre con ottimi motivi.

 

 

Di tempo ne è passato un po’, adesso, ma quando guardo i petali di diamante che splendono sull’anulare della mano sinistra mi ripeto che comunque mio marito non è affatto un uomo romantico.

È stato tutto merito di Totti e Batistuta.

 


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